Un'opera perfetta, complessa, affascinante. I bersagli tradizionali di Buñuel (la borghesia, le forze dell'ordine, il clero ma, in breve, la rimessa in discussione dei valori tramandati) sono colpiti in TRISTANA attraverso un lavoro sull'immagine e sulla struttura del racconto di una ricchezza e di una logica incredibili. Il film è tutto un processo progressivo di rovesciamento delle apparenze. E nulla, meglio della immagine cinematografica, serve a questo gioco. Da vittima apparente di una situazione (perché vista dall'ottica forzatamente tradizionale e borghese di chi segue l'aneddoto) TRISTANA appare alla fine come la personificazione medesima dell'ambiguità e della relatività dei valori umani e sociali. Buñuel ci conduce a questa presa di coscienza finale, costringendoci continuamente a rivedere le nostre posizioni critiche nei confronti delle situazioni e dei personaggi del film. Complesso di castrazione, incesto, messa a morte del Padre, sono espressi simbolicamente dagli oggetti o dagli atti di TRISTANA con una forza che solo Buñuel riesce ad infondere.
Si osservi la sapienza infinita con la quale la sessualità latente di Tristana è suggerita nella prima parte del film; il ruolo simbolico, continuo ed ossessivo del cibo e della nutrizione. L'importanza, ad esempio, delle pantofole di Don Lope nel significare l'assoggettamento servile dapprima, la senilità in seguito, infine la liberazione (la scena del secchio della spazzatura). Don Lope, da individuo che pone sguardi lucidi sulla realtà che lo circonda, a vittima senile che beve la cioccolata calda con i tre preti del finale. Tristana, da vittima apparente di una situazione melodrammatica tradizionale, ad esecutrice implacabile di un disegno involutivo: il film di Buñuel è l'intreccio squisito di queste due parabole contrastanti.
Guidato da una lucidità del mezzo che andrebbe analizzata a lungo, il film è tra i discorsi più logici e finiti che uno dei grandi del cinema abbia condotto. Memorabile la presenza di Catherine Deneuve.